Dell’aspro pensiero
che mena alla vita
perdesti le tracce
mia Patria smarrita.
Gettata nel fango
dai figli tuoi stessi
dal cenere sparso
risorgi per essi.
Risorgi, Fenice,
dal cenere tratto
dal corpo disfatto.
Dall’ombra già greve
che ammanta i millenni
s’innalza la fama
di fasti perenni,
permane marmorea
nel bronzo scolpita
l’antica tua gloria
dai figli tradita
La gloria degli avi
degeneri figli
scordar nei perigli.
Sull’ala del tempo
non vola la fama
di quei che sconfisse
Cartagine a Zama?
La fama non vive
del vecchio Archimede
che fino allo stremo
combatte con fede?
Se questa n’è scossa
qual vale favella
a renderla bella?
Dal fango dal limo
dall’orrida face
ascosa nel seno
silente fugace,
tal altra erompente
da mille Vesevi
all’alba del mondo
dall’acque ti elevi
informe, quassata
da fremiti ignoti
da immani tremuoti.
Quel fuoco trasfuso
non fu poi nei cuori
di quanti a te diero
la palma e gli onori?
Or tepido forse
permane soltanto
negli algidi cuori
dei secoli il vanto?
Offesa anche t’hanno
confusa avvilita
discinta schernita!
Ma chi potrà spegnere
l’antica scintilla
la face perenne
che mai non oscilla,
chi toglierti i fati
il destino la vita,
da domina addurti
a serva contrita?
Se nutrono tanto
i figli, sprofonda
con essi nell’onda!
Ma tosto risorgi
Fenice novella,
ritemprati al fuoco
riportati in sella
e cinta la chioma
d’un sacro diadema
la gloria e l’onore
ti siano emblema.
L’Onore, Fenice,
dal cenere tratto
conserva tu intatto!
Fedor Nicolay Smejerlink