Una baita, guarda nel vuoto.
Si aggrappa al fianco del monte
presa dal terrore di precipitare
spalanca due neri occhi al cielo.
Pietoso la avvolge un ciuffo
di nebbia che la marcita del pascolo
esala. L’erba è verde di smeraldo
cresce sotto la falciata dei bovi
più tenera. Assale la baita
da ogni lato, su fino al tetto
di lastre ferrigne. Con le lingue
raspose l’attaccano come una schiera
di maldestri imbianchini le giovenche
ritte goffamente sui posteriori.
I loro campani rintoccano
negli obliqui raggi del sole. Un rito
pagano ha inizio nel silenzio
del vespero alpino: officia
il pastore con monosillabi
gutturali, agitando il bastone
dal folto dei rododendri intricati,
per un momento è uno scampanio
come di festa. Solenne scende
l’ombra dei monti tra costoni e dirupi,
un brivido corre per gli abeti
e il silenzio è sacro. L’antico
rito si compie coi sacrifici;
L’acqua si sposa al muschio
alla neve vergine gli aghi dei pini
alle stelle il cielo. Più tardi
nell’angusta baita brillerà una fiamma
una luce nei due neri occhi
spenti. E accoglierà il mistero
dell’amore, di due cuori il palpito.
Fedor Nicolay Smejerlink