Primavera
Fremiti d’ali; aeree, guizzanti
tornano. Han le convalli una canzone
nuova, melodia divina con l’acque
fluenti ai piani; creature leggere
evanescenti, cui l’ombra d’un sogno
si rassomiglia, e dall’istesso incanto
ebbero l’ali per volar ne’ cieli.
Estate
Stoppie riarse ed affocati clivi,
uno stridor come di fuse leghe;
avare zolle, avari cieli intorno
e intorno ancora tacita la sera.
Timido un canto s’erge tra’ canneti
non di creature umane: una salsa ala
di vento rifiorir fa l’acque, cheta
sfiora le prore, bianche vele sfiora
e corre, corre a raccontar pe’ liti
ai pini ai mirti ed ai canneti in fiore
l’incessante prodigio dell’aurora.
Autunno
Opi feconda, son di biade e d’uva
pregni i tuoi seni e ti sorride il sole.
Or ti ferisce il vomere possente
ed or t’incinge la semenza buona.
Partorirai senza fatiche, lenta
e i nati coprirai con le tue foglie
poi che pietosa l’arbore sciogliendo
le bionde chiome, d’esse farà dono
a la gran madre sua, pe’ suoi fratelli.
Inverno
Larici, abeti e un turbine d’attorno;
picchi, strapiombi e l’ululo tremendo
dei venti per le gole, e fatta informe
par che si giaccia in lievi pepli avvolta
la Terra e le sian tomba i cieli. D’ali
un fremito attende, sì che disciolta
di suo torpor frema pure essa e ceda
all’armonia di murmori commista
ch’erra pe’ cieli e si tramuta alfine
in limpide acque che carezza il vento.
di Fedor Nicolay Smejerlink