Tu più non corri su tappeti d’erba
tiepidi del meriggio,
tu, mia stanca vecchiezza.
Fredda terra, mi opprimi,
come se tu mi legassi al tuo grembo
che materno non sento
dissennata matrigna
che pensi di possedermi per sempre
come se io fossi un verme
nato dalle tue viscere malsane
su cui eserciti il tuo predominio.
Verso l’alto mi tendo
che tu non possa nel volto guardarmi
convincermi con i tuoi cento doni
che san tutti d’amaro.
Sol che tu mi lasci correre lieve
per tuoi boschi e radure
trascorrere sulle tue acque vive
senza nulla pesare
ch’io non ti senta sotto i piedi madre
che nulla ci sia tra noi rispondenza.
Allora questa mia stanca vecchiezza
solo allora non sento;
essa non mi abbandona
sugli ignoti sentieri della morte
che non so dove vanno
cui è vano pensare.
Se ti muovi come cieco viandante
per dedali infiniti
tu, mia stanca vecchiezza,
non temere, sentirai sulla curva
schiena le amiche carezze del sole
che non ti fanno smarrire la via.
Fedor Nicolay Smejerlink