O frementi in lavacri di spume azzurrine,
fanciulle dei sogni miei antichi!
O dolcezze pudiche, o mani fragranti
di luce e di fiori!
O divine sboccianti sul talamo,
desiose di baci e d’amore!
Qual cupa tristezza m’invade ogni sera
per tema che più non veniate
a scoprirmi tesori sì belli
che l’anima e il corpo racchiude!
Io lo sento che più non avvampa
pe’ mille meandri che a lui si dischiudono
nel petto, nel cuore, il mio sangue;
lo sento che più non accende le tempie!
Eppur v’attendo; ogni notte le spente
pupille dal sonno più spente non sono
se il dono del nettare vostro accostate.
Io mi sazio a le fonti con avida bocca
ed il capo reclino sui turgidi seni;
vi sento pervase da un tremito strano
e il torpor vi possiede. Son le dolci sembianze
trascolorate ed il crine sconvolto.
Nel mio sogno sognate, creature celesti,
divini imenei tra boschi di mirti e di alloro,
adagiate su trame di bianche corolle
nascenti dal limo in un roseo tramonto.
Sognate; e le tepide nuche si perdono
in un amplesso di petali rosei.
Seduta tra i sassi, col crine fluente,
leggiadra una vergine tocca
con mano leggera le corde di un liuto
e le acque hanno un tremito,
come sussultano all’alba, all’annuncio del sole.
Discolora ogni cosa: le platee son deserte
ed i candidi marmi si copron di eriche e sterpi,
le corolle son sporche di limo.
Il flebile pianto di un bimbo si leva
e la voce sua piena d’angoscia
invoca la mamma. Mi riconosco
in quegli occhi lacrimosi, in quel visetto spaurito
e temo d’esser solo in un deserto
infinito, ove nessuno possa ascoltare
una voce che invoca la madre
dopo l’orgia di un sogno.
di Fedor Nicolay Smejerlink